Come sono cambiati gli investimenti dopo la crisi

L'Indagine congiunturale di Unioncamere Emilia-Romagna evidenzia i mutamenti nelle scelte strategiche delle imprese

L'indagine trimestrale di Unioncamere Emilia-Romagna si è arricchita di nuove informazioni sull'impatto che la crisi del 2009 ha avuto sull'attività di investimento delle imprese.

Infatti nel 2009 si è registrato un vero e proprio giro di boa che ha modificato profondamente il tessuto produttivo modenese e italiano: alcune imprese non hanno resistito alla crisi e sono dovute uscire dal mercato, mentre quelle sopravvissute hanno dovuto rinnovare tra le altre cose anche le politiche di investimento.

In effetti osservando le risposte delle imprese manifatturiere dell'Emilia-Romagna pare proprio che gli imprenditori abbiano trovato soluzioni innovative, dato ancor più evidente per la provincia di Modena.

I dati provinciali rilevati a fine anno 2018 mostrano che mentre prima della crisi il 30% di imprese dichiarava di investire in macchinari uguali a quelli esistenti, ora tale percentuale scende al 19%. Per converso si vedono miglioramenti innovativi come i maggiori investimenti in nuovi macchinari (dal 27% al 40%), tuttavia tale fenomeno non è accompagnato dall'introduzione di nuovi prodotti, che invece scendono dal 19% al 14%, ma soprattutto vi è un miglioramento dei prodotti o dei servizi già esistenti i cui investimenti passano dal 23% al 34%.

Importante invece il raddoppio delle imprese che investono in "ricerca e sviluppo" e in "innovazione di organizzazione" che passano dal 7% al 14%, stranamente invece calano gli investimenti in acquisto di computer o software che calano di 4 punti percentuali.

Gli investimenti in formazione dei dipendenti rimangono invariati e vengono effettuati dal 9% delle aziende.

Tutte queste spese sono finanziate sostanzialmente da tre canali principali: i finanziamenti bancari che passano dal 65% al 72%, l'autofinanziamento, anch'esso in aumento dal 30% al 34% e il leasing e factoring che rimane quasi costante (23%). Le altre forme di finanziamento sono irrilevanti.

Totalmente differente invece risulta l'andamento del commercio, che pare non abbia la stessa spinta innovativa dimostrata dall'industria manifatturiera: ad esempio aumentano di alcuni punti percentuali gli investimenti informatici che passano dal 18% al 22%, meno rilevante rispetto all'industria l'acquisto di macchinari che aumenta comunque dal 9% al 13% e della ricerca e sviluppo, che insieme all'acquisto di marchi e brevetti passa dall'1 al 4%. Il miglioramento della catena di distribuzione invece viene incentivato solamente dal 12% delle imprese, con un incremento di due punti percentuali.

Colpisce invece il calo di imprese operanti nel commercio che investono nel miglioramento nei prodotti o servizi (dal 33% al 25%) e nell'introduzione di nuovi servizi, che calano dal 29% al 16%.

Le fonti di finanziamento per il commercio rimangono pressappoco costanti prima o dopo la crisi e sono le stesse dell'industria, ma con proporzioni diverse, infatti si ricorre molto di più della manifattura all'autofinanziamento (42%) e leggermente di più al capitale proprio (16%), mentre molto minore è la quota dei finanziamenti bancari (57%) e ancor più basso il leasing e il factoring che si fermano ad un 4% del totale.

Infine non sono molto utilizzate le Cooperative di Garanzia del credito come i Confidi sia prima che dopo la crisi: infatti solamente un 10% delle imprese dell'industria aveva beneficiato dei loro servizi prima della crisi, percentuale scesa al 6% dopo la crisi, mentre il commercio passa da un 20% prima della crisi a solamente l'1% attuale. Un terzo delle imprese intervistate non ne conosce l'esistenza, mentre il 40%, pur conoscendolo, non lo ha mai utilizzato.

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